Quando torni a cercarmi porti con te il tuo corpo, mi arrivi grondante di pioggia e sudore, con un´aura di selvatico… Lo sguardo voluttuoso di una donna sull´Eros maschile, senza pudore, senza paure, senza limiti… Dall´esplosiva Autrice de Il sesso degli angeli.
Pagine scelte dall’autrice.
estratto da 'Ti vedo meglio al buio'
Distesa a testa alzata sul drappo da spiaggia mi guardo. Registro un corpo lungo, niente da dire, che sta tentando con scarso successo d’abbronzarsi. (Appena possibile mi sfilo il reggiseno, anche lo slip. Il sole picchia, lascia poca traccia.) Vedo la pelle delle cosce che impercettibilmente si raggrinzisce, è ancora liscia e insieme tende a raggrinzirsi: uno spettacolo! Liscia e raggrinzita nello stesso tempo. Un numero! La pancia sporge verso il cielo: non c’è niente da fare. Tutta quella ginnastica buttata, a meno che a ingrossarmi siano stati gli estrogeni. In ogni caso la pancia c’è: impossibile non vederla anche se trattengo il respiro, se cerco di appiattire tutto il corpo verso le vertebre. Oltre la pancia il triangolo castano, coloristicamente più smorto della mia chioma all’henné dall’apparenza ancora rigogliosa, è – bisogna ammetterlo ormai, levarsi le fette di salame dagli occhi e vederlo – trasparente sui lati, solo al centro un minimo infoltimento nasconde ancora la riga, “la solcatura del sesso”, “quella riga, il segno carnale del mistero” (Gadda). Più vicine ai miei occhi le tette, da una vita minute e ascellari come quelle del Trono Ludovisi, appaiono semmai un po’ più gonfie e centralizzate del solito, quantunque depresse all’infuori dalla forza di gravità, rosee le punte come dall’infanzia. Le braccia lasciano a desiderare, proiettate al raggrinzo come le gambe, mentre il décolleté si difende. Così stiamo. Guardiamo il nostro corpo davanti al blu del mare che scintilla di sole ma non rispecchia: ci manca uno specchio a restituirci il disastro del viso. Mi avvento sullo specchietto da borsa, mi ci scruto. Dunque gli occhi, struccati dal mare, sono celesti e rialzati verso le tempie come da bambina; peccato il languido afflosciarsi delle palpebre, la discreta orditura di piccole rughe che darà luogo a un paesaggio carsico, possiamo esserne certe, alla risata. (Non che piangere sia preferibile, il meglio sarebbe giacere marmoree, atarassiche, anoressiche, sul marmoreo sarcofago, scolpite a memoria! Ogni segno di vita ci malconcia.) Così ci sappiamo: così, penso, mi sai. Hai sempre avuto “gli occhietti aguzzi” (James Bond Thunderball), un’importuna e trasparente ipersensibilità per le mie magagne; benché talvolta paiano coperti, i tuoi occhi, da fette di salame. È il caso per esempio quando mi parli della mia beltà, quando indefessamente mi rassicuri perché c’è in ballo un incontro multiplo, perché c’è urgenza ch’io mi senta subito, ancora adesso, un angelo del sesso. Come sei confortante allora tu! Come sono scocciante allora io, non ne dubito, quando in vista di un’orgia attacco le mie geremiadi sul mio corpo disfatto, inadeguato, sulla mia vecchiaia incurabile e prossima morte! Ma il sesso è nella mente, dici tu. Io sono d’accordo. Il sesso è nella mente, nella tua. Talvolta non è da niuna parte (per esempio). Oppure, non essendo nella mente, bisogna ritenere che sia, dovendo esserci, nel corpo: e allora ci si guarda allo specchio con su le calze autoreggenti, ci si torce con sforzo sulla vita per vedersi il culo nelle mutande, si giunge al punto di abbassarsi le mutande per potersi osservare il culo nudo, non troppo cellulitico, alto e solido ancora, può darsi, ma così intollerabilmente bianco, così burroso, così vecchio e bolso. Sarebbe lui, quel vecchio bolso culo, la sede dell’eros, ci dicono. Con un bolso sospiro distogliamo lo sguardo, mettiamo su la minigonna a cinquant’anni.